Intervista a Davide Di Cola – Rivista internazionale Parole D’arte
INTERVISTA A DAVIDE DI COLA – RIVISTA INTERNAZIONALE PAROLA D’ARTE
VOLUME N. 9 AUTUMN 2017
Davide Di Cola
Una scuola di pensiero temporale e filosofica per una nuova architettura
S – Davide, per prima cosa parlaci degli episodi salienti dei primi anni della tua vita professionale, quelli che ricordi con maggior affetto o chi ti hanno segnato.
D – Da sempre ho potuto “respirare l’Architettura” vivendo sin da piccolo, lo storico studio di Architettura di mio Padre – LDC Architettura – nella città dove sono nato, Formia.
La prima esperienza importante, la ebbi nel 2009 da laureando, presso la società Pronaves. Fu la prima società a cui mi rivolsi per poter effettuare il tirocinio propedeutico alla laurea e non ebbi possibilità di farne altri perché fui subito accolto per poter incominciare a lavorare.
A quell’epoca, il tirocinio obbligatorio si poteva fare solo presso una società pubblica o convenzionata, e la Pronaves era uno spin-off dell’Università di Roma Tre.
Ritenevo interessante poter approfondire la progettazione all’interno di spazi geometricamente più complessi da quelli edilizi, ed ero stimolato al pensiero di affrontare la progettazione navale.
La società Pronaves, era uno studio di ingegneria di Roma che aveva l’ambizione di Rivoluzionare il “mondo della Nautica” promuovendo tecnologie all’avanguardia capaci di far navigare le imbarcazioni in elettrico puro (o in ibrido) in totale sicurezza rispettando l’ambiente, progettando motori polifunzionali capaci di trasmettere la propulsione all’elica ed allo stesso tempo generare corrente per l’abitato. Questo concetto di vedere la nautica, riducendo gli spazi dei locali tecnici a vantaggio dell’abitato, rendeva necessario un nuovo approccio progettuale per le imbarcazioni, con l’idea di iniziare un processo evolutivo capace di sostituire totalmente l’oleodinamica (un sistema farraginoso a cui bisogna dedicare molta manutenzione) con l’elettronica di controllo.
Appena presi possesso della mia scrivania mi diedero il compito di progettare una stazione di Attracco per una Banchina ecologia.
Con questo progetto partecipammo al Festival Internazionale sull’energia – Lecce 2009 – e ci classificammo primi tra centinaia di progetti intervenuti da tutta Europa.
Ricordo ancora quando mi chiamò in riunione l’allora titolare dell’Azienda Stefano Carletti, comunicandomi l’assunzione a patto di laurearmi al primo appello disponibile in facoltà.
Riuscii a rispettare quella promessa, laureandomi il 26 Gennaio del 2010, ed incominciò una bellissima esperienza che ancora ricordo con affetto.
Eravamo in 4 in ufficio: L’Amministratore Unico Dott. Stefano Carletti, persona incredibile, a detta di molti, il più grande esperto di nautica dal dopoguerra ad oggi, il presidente Prof. Paolo Del Vecchio capo del dipartimento di Elettrotecnica dell’Università di Roma Tre, l’Ing. Maurizio Serao esperto strutturista e programmatore, e poi c’ero io che in breve tempo, diventai responsabile di tutti gli elaborati progettuali della società di ingegneria.
Nel 2013 ritornai a Formia e incominciai a lavorare come Project Manager nello studio di mio padre Luigi Di Cola – LDC Architettura. Ristrutturando una abitazione di proprietà della mia famiglia, le maestranze che si sono alternate alla costruzione di questo mio progetto – forse colpite dal mio approccio professionale nella progettazione ed in cantiere – mi proposero come progettista in molti cantieri, ed ancora oggi collaboro con loro nei miei progetti.
In un lavoro Pubblico, dove fui progettista e direttore dei lavori, conobbi Bruno Quirino, uno dei titolari dell’Azienda “Centro Italia Marmi”, che vedendo la mia abitazione, fu colpito a tal punto da darmi l’incarico tecnico per ristrutturare una sua proprietà. Da tecnico di fiducia, diventai presto consulente per la sua azienda – ruolo che svolgo tutt’ora.
Nel 2015 venivo coinvolto da un imprenditore edile – Williams Di Cesare – come progettista ad un concorso per la realizzazione di una fontana monumentale a Gaeta in Piazza della Liberta. Avevo molte perplessità che una fontana adibita a spettacoli danzanti fosse adatta ad un installazione all’interno di una rotatoria stradale, fotografavo il conflitto che l’automobilista doveva vivere percorrendo la strada: guardare il suo percorso o l’opera monumentale con i suoi getti? Nonostante queste miei iniziali perplessità decisi di accettare lo stesso l’incarico. Considerata la scadenza del bando il 17 di Agosto del 2015, avendo da tempo prenotata una vacanza a Lampedusa, mi trovai costretto a lavorare sull’isola. Quel sacrificio non fu vano, il mio progetto vinse fra molti e l’opera fu inaugurata nell’ottobre del 2016 facendo realizzare gli ornamenti in Marmo alla Centro Italia Marmi.
Oggi mi divido tra lo studio professionale ed il lavoro di consulenza alla CentroItaliaMarmi
S – Di cosa ti occupi nel campo dell’estrazione e vendita dei marmi?
D – Il mio compito all’interno dell’Azienda è creare una programmazione industriale capace di sviluppare la Società, individuando i mercati da aggredire e le attività da svolgere per facilitare la commercializzazione del prodotto. L’Azienda ha 45 ettari di cava, ed ad oggi controlla tutta la filiera: dall’estrazione fino ai lavorati, quindi il lavoro che devo svolgere è abbastanza delicato e complesso. Tramite la collaborazione di alcuni laboratori che analizzano i materiali lapidei, ho codificato in maniera scientifica le caratteristiche del Perlato Royal Coreno – materiale di proprietà dell’Azienda – che potrei sintetizzarvi in questo modo:
Materiale adatto alle alte temperature: La sua colorazione chiara riflette i raggi solari, non facendo assorbire calore alla Pietra, garantendo ottimo confort al tatto in installazioni esterne particolarmente assolate;
Materiale adatto alle basse temperature: La sua compattezza la rende Antigeliva permettendo installazioni in condizioni di temperature elevate senza il rischio di rotture;
Materiale asettico e atossico: La Pietra è asettica, quindi perfetta per installazioni indoor, utilizzabile anche in ambito sanitario.
Insomma un materiale Universale quindi straordinario!
Assieme allo staff tecnico ed al management Aziendale ho promosso personalmente iniziative correlate con gli Ordini professionali, ed in ultimo, un concorso internazionale di Idee, che ha visto vincitori tre giovani professionisti di Venezia: Manuel Marchesin, Alessandro Caiffa e Giacomo Pasian.
S – Dalla tua storia professionale emerge un lavoro da architetto ma anche una necessità costante: la conoscenza della tecnologia, intesa sia come elemento innovativo che come uso sapiente delle caratteristiche dei materiali. Pensi che il professionista di oggi debba sempre lavorare molto sull’impiantistica, gli elementi di risparmio energetico, la demotica, nel contesto del progetto di un’abitazione?
D – La contemporaneità impone di seguire la tecnologia. La tecnologia però deve essere un mezzo che non deve contaminare la progettazione, ma risultare utile per sfruttare le opportunità che ci si offrono. Per esempio, se iniziassi a disegnare direttamente in cad per definire una Architettura – anziché codificare l’idea con un disegno a matita – non riuscirei a sintetizzare in maniera rapida i miei concetti ed il mezzo tecnologico – in questo caso il CAD – mi condizionerebbe in maniera negativa la progettazione. Come ben evidente in questo caso, la tecnologia non utilizzata nei giusti tempi potrebbe inaridire un progetto anziché enfatizzarlo. Un altro inganno sulla tecnologia, esasperato dalle pubblicità e trasmesso a noi tecnici dai clienti, è definito dalla domotica “a prescindere”. Ogni tecnologia ha il suo utilizzo, ad esempio, se volessi utilizzare a tutti i costi la domotica all’interno di un appartamento di 50mq, non farei bene il mio mestiere, in quanto, ciò che controlla la domotica diventa interessante in “spazi più ampi”. Con questi esempi, mi piacerebbe affermare che: il mezzo tecnologico è senz’altro uno strumento da adottare e proporre, ma sta alla nostra intelligenza di tecnici comprendere quali tipologie scegliere ed i tempi per farne buon uso al fine di avere vantaggi sulla realizzazione finale di un’opera.
S – Questo discorso mi ricorda la storia del vostro motore ibrido, perché mi è parso di capire che il tutto era nato dall’osservazione che componenti e aspetti dell’imbarcazione tradizionale come la propulsione diesel e quella elettrica potevano lavorare meglio tra loro.
D – Si, la tecnologia deve riuscire a risolvere un punto di domanda del mercato. Tocca a noi progettisti capire cosa serve davvero: e non è detto che la soluzione più avanzata o moderna sia la cosa più utile!
S – È una questione quindi che tiene conto di determinate performance, cioè più diventa utile e migliore sarà il risultato
D – Si. L’utilizzo della tecnologia deve essere applicata nel rapporto tra spesa affrontata e vantaggio ricevuto altrimenti è al pari di un soprammobile.
S – La mentalità che hai sviluppato sembra piuttosto valida ed universale, per esempio mi sembra facilmente applicabile anche ad un aereo o ad un transatlantico
D – Nell’ambito navale quello che mi interessava maggiormente era capire le tre dimensioni. Nell’architettura trattiamo prevalentemente pareti verticali e solai orizzontali: una carena è qualcosa di più complesso. Serve una forma mentis particolare, ad esempio saper progettare “architetture piccole” ti aiuta nella progettazione di quelle grandi del contrario non si può dire. Quando progetti lo spazio grande ragioni sulla superficie, mentre quando lavori su uno spazio piccolo devi ragionare sul volume, ed ad ogni elemento devi comprendere un utilizzo polifunzionale.
S – Una cosa interessante dell’ambito navale è per esempio la componente tempo: il progetto si muove ed ha anche bisogno di mutare velocemente a seconda di diverse situazioni possibili, rimanendo confinato in una cellula ristretta. Cosa insegna questo ad un progettista, che potrebbe essere applicabile al progetto di un edificio?
D – Oggi molti progettano tenendo conto che l’opera dovrà cambiare, altri, secondo il principio che la loro opera dovrà essere immutabile: sono due scuole di pensiero diverse. La mia scuola di pensiero è temporale e filosofica, penso che i mutamenti siano parte del nostro vivere. Personalmente, penso che ci si debba porre le domande giuste e quindi dare risposte giuste: non ci si deve spaventare del mutamento né avere l’ambizione di creare vincoli per arginarlo. Si tratta di immaginare il futuro, di capire insieme alla committenza quali potrebbero essere le esigenze nel tempo, quindi avere la capacità di progettare anche il mutamento!
S – Cosa invece è davvero diverso tra i due ambiti? A parte ovviamente la presenza o meno di un sistema di locomozione.
D – Se ci pensi bene, tutti i progettisti hanno pensato a qualcosa che può essere trasportabile. Però col tempo ho capito che ciò che è trasportabile ha dei limiti. Io ho sognato da bambino di vivere in una grande barca, perché immaginavo che fosse allo stesso tempo una casa e macchina, ma crescendo e studiando ho capito che non è così. Pensa ad un “coltellino svizzero”, ossia ad un piccolo oggetto con diverse funzioni: quando hai una vera necessità e puoi scegliere lo strumento più adatto capisci che non sceglieresti il coltellino svizzero, in quel momento comprendi che quel piccolo arnese non può sostituire ogni attrezzo anche se credevi di avere tutto. Le cose polifunzionali hanno questo forte limite.
S – Ti riferivi alle “macchina da abitare”?
D – io ho visitato le Unità di Marsiglia e Berlino, le ho trovate interessanti; ma se immagino che una famiglia debba vivere in quel contesto così “basico” per 60t’anni, mi sento soffocare. Sono convinto che quei complessi edilizi siano perfetti come alloggi per studenti universitari al fine di limitare la vita in quelle cellule abitative per un massimo di 10anni.
Per fere una metafora che rafforzi anche la risposta precedente potrei affermare che: vivere in quei piccoli appartamenti interni all’unité d’habitation di Marsiglia o di Berlino, per più di 10 anni è come condannare un idraulico a lavorare solo con un coltellino svizzero.
S – Mi hai parlato di progetti che hanno tenuto conto di esigenze nautiche, come i sistemi della Pronaves, e di altri che hanno tenuto conto del codice della strada e delle esigenze di visibilità degli automobilisti. Alla luce di quanto detto, qualcuno potrebbe definire i tuoi/vostri progetti come funzionalisti?
D – Senz’altro, ma non solo. Io i miei progetti li definirei “di committenza”, cioè tali da comprendere (anche nel senso di “includere”) i desideri del committente, conferendogli un linguaggio architettonico. Ciò che secondo me differenzia l’architettura dall’edilizia è che la prima emoziona davvero. Un‘architettura può non piacere, ma è riconoscibile perché ti suscita un emozione, cosa che non fa l’edilizia, la chiave di tutto a mio avviso è il rapporto con il committente.
S – Creare un rapporto empatico con le sue esigenze?
D – Si, e infine creare un linguaggio, tale da suscitare nel visitatore un emozione che sappia coinvolgerlo, costruendo sulle esigenze funzionali della commessa un’Architettura armonica. Il compito di un Architetto sta nella codifica delle idee della sua commessa per poi avere l’abilità di plasmare tutte quelle indicazioni al fine di renderle armoniche.
S – Abbiamo discusso di esigenze mutevoli e nuove tecnologie, ma molto è già stato costruito, tanto da sopperire a buona parte delle esigenze abitative attuali. Come faranno le nostre città storiche ad adeguarsi?
D – Come sai, il sistema principale di controllo urbanistico nel nostro paese è il PRG, uno strumento molto arido; ritengo che sarebbe meglio sostituirlo con un piano programmatico di città condivisa, uno studio architettonico, che scenda nel dettaglio. Dovrebbe costituire un menabò, che tutte le amministrazioni, con le proprie economie di spesa, dovrebbero seguire al fine di gestire uno sviluppo migliorativo della propria città. Casa e città sono la stessa cosa, stiamo parlando di spazi per l’uomo. L’obiettivo è creare dei cambiamenti per lasciare ai posteri qualcosa di migliore non di peggiore cosa che avviene puntualmente in molti territori. Il controllo della città basato sulla suddivisione in piccole aree, la trovo decisamente sbagliato. Nerone aveva visto bene, ha profondamente sbagliando il modo per imporre il cambiamento bruciando la città per ripensarla. Alcune difficoltà insormontabili, come l’esistenza di edificazioni con scarsa qualità, costringono a essere drastici. Il problema è davvero serio, basti pensare ai molti borghi che sono la peculiarità della nostra penisola: gli interventi locali promossi dai privati, non sono sufficienti per garantirne la sicurezza in caso di sisma o di frana, ma occorre un piano programmatico, Nazionale, che comprenda un programma di messa in sicurezza: è inutile infatti rinforzare la propria abitazione se quella accanto crolla sulla tua perché non vi erano soldi o la volontà per adeguarla. Ad esempio, i borghi medievali sono un unico grande edificio, e un danno ad un’abitazione crea un effetto domino. I grandi interventi di cui parlo li vediamo quindi solo dopo i sismi, quando è tardi: se si continua così, spariranno tutti i borghi d’Italia! Parliamo di due approcci diversi, uno preventivo, programmato e strategico dove si progettano gli interventi nel corso degli anni per ricostituire la sicurezza dell’edificato ed uno (quello attuale) demandato ai privati che spesso non hanno la capacità organizzativa ed economica per affrontare l’intero problema.
Ecco, uno stato che vuole funzionare non può adottare sistemi sbagliati come quello descritto.
S – Nel tempo questo ha portato anche alla moltiplicazione della burocrazia, allo svilimento della professione dell’architetto – che perde di vista il lavoro metaprogettuale per risolvere piccole situazioni – e alla frammentazione del suo lavoro, non solo in termini di importanza degli interventi ma anche in ambiti diversi. Rimane la speranza che questi problemi siano sempre più presenti al mondo politico, onde avere un cambio netto delle strutture legislative a sostegno della nostra professione di architetti e urbanisti.
D – Io parlo con grande trasporto perché credo che siano discorsi importati: tocca a noi giovani impegnarci perché tutto cambi in meglio.
New York, 20 Dicembre 2017
Giornalista – Architetto Sebastian Di Guardo
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